CARNIVAL OF SOULS

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USA, 1962

REGIA: Herk Harvey

CAST: Candace Hilligos, Frances Feist, Art Ellison, Stan Levitt, Sidney Berger, Pamela Ballard

Mary viene abbordata da tre ragazzi che le propongono una corsa in macchina. Accettata la sfida, la ragazza perde il controllo della sua auto e precipita nel fondale di un fiume fangoso ,ma arrivati i soccorsi Mary esce da sola dalla vettura senza nessun aiuto. Da quel momento per lei inizia una situazione delirante fatta di incubi e angoscia, mentre una sinistra presenza la osserva e la terrorizza…

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Mai uscito in Italia, CARNIVAL OF SOULS è ritenuto un capolavoro in molte parti del mondo. Questa strana pellicola di Herk Harvey arrivò nei drive-in e con molta probabilità non ne venne colto l’alto potenziale, passando pressoché inosservata e ignorata dagli altri canali distributivi. In realtà ci troviamo di fronte a un film insolito, poetico, evocativo e angosciante, che negli anni si è guadagnato lo status di “cult” per le atmosfere dark nelle quali è immerso, fino a diventare un vero e proprio manifesto in molti circuiti underground.

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La fotografia è splendida, un bianco e nero fulgido e cimiteriale che evidenzia il make up delle anime danzanti, spiriti inquieti che si muovono intorno alla protagonista. Le apparizioni dell’uomo pallido sono realmente spaventose e la musica macabra suonata per buona parte del film è perfetta per una storia che a tratti, fa davvero paura.

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Verrebbe da pensare che il regista avesse ambizioni più alte e non troppo in linea con i b-movies del periodo, anche perché i vari significati disseminati lungo il percorso della protagonista (elementi ricorrenti come l’acqua e la religione spuntano in continuazione) fanno pensare alla volontà di rappresentare un percorso, un’agghiacciante discesa all’Inferno lenta e inesorabile, ricca di simbologie che funzionano come “avvertimenti” che si fanno sentire un po’ alla volta in un clima costantemente inquietante.

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Costato pochissimo, CARNIVAL OF SOULS è una specie di scheggia impazzita che ha lacerato la routine di un certo tipo di cinema commerciale che funzionava soprattutto tra gli anni ’50 e ’60, un’opera che con i “generi” in voga aveva in fondo ben poco a che vedere.

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