LA MORTE HA SORRISO ALL’ASSASSINO

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ITALIA, 1973

REGIA: Aristide Massaccesi

CAST: Ewa Aulin, Klaus kinski, Sergio Doria, Attilio Dottesio, Marco Mariani, Angela Bo, Luciano Rossi, Giacomo Rossi Stuart

L’unico film di Aristide Massaccesi (conosciuto ai più come Joe D’amato) firmato col proprio nome e cognome. La storia si allaccia ai vari gotici del periodo, anche se nell’anno di uscita di La Morte Ha Sorriso All’Assassino il genere era nella sua fase finale e registi e produttori cercavano di inserire qualche nuova caratteristica per rinnovare un po’ il tipo di spettacolo che, ancora, per certi versi funzionava. Qua ci troviamo agli inizi del ‘900 e si narra di Greta, una ragazza che, dopo un incidente in carrozza (che ha causato la morte del cocchiere) viene ospitata da una ricca famiglia che abita in una grande villa in campagna.

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Greta porta al collo uno strano amuleto che parrebbe essere in grado di riportare in vita i morti e, il dottore che la visita, cerca di mettere le mani sul misterioso oggetto, per poter portare avanti i suoi esperimenti con i cadaveri. L’atmosfera diventa presto pesante perché Greta fa innamorare sia il marito che la moglie proprietari di casa, ma quando la signora si accorge di non essere corrisposta come vorrebbe e becca Greta ad amoreggiare col consorte decide di murarla viva nei sotterranei della villa. Da quel momento fioccano i morti, perché la ragazza (che porta l’amuleto con sé, quindi destinata a vivere per sempre) si ripresenta e si vendica, facendo fuori tutti quanti…

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Massaccesi tiene in alta considerazione i racconti di Edgar Allan Poe e in La Morte Ha Sorriso All’Assassino ci sono diverse ispirazioni che arrivano dallo scrittore di Boston. La ragazza convinta a scendere in un luogo senza via d’uscita e murata viva ricorda senza dubbio Il Barile Di Amontillado, ma c’è pure un ballo in maschera “con sorpresa” che fa venire in mente La Maschera Della Morte Rossa e qualche riferimento a Il Gatto Nero. Detto questo, La Morte Ha Sorriso All’Assassino rilegge Carmilla di Joseph Sheridan Lefanu, che sarebbe poi il racconto a base di vampiri più saccheggiato del mondo, ha un’ottima fotografia (sempre dello stesso regista) e una bellissima ambientazione, ma se il film funziona il merito è soprattutto degli attori: Ewa Aulin ha il viso giusto e la parte della pericolosa bambolina sembra fatta apposta per lei; Luciano Rossi mostra il suo solito campionario di facce deliranti e, a completare il quadretto, ci pensa Klaus Kinski nei panni di un cupo dottore. Non manca il sangue e lo splatter e, oltre a un occhio infilzato da un ago, Massaccesi monta una scena pazzesca con Rossi che viene aggredito e graffiato da un gatto inferocito (probabilmente la sequenza più famosa del film, ridisegnata appositamente nella locandina).

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Non un capolavoro, è un gotico trucido che diverte e si lascia guardare; Aristide Massaccesi era in rampa di lancio per diventare, da qua a breve, uno dei massimi esponenti dell’exploitation mondiale…

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