IL FIGLIO DI KING KONG

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TITOLO ORIGINALE: Son Of Kong

USA, 1933

REGIA: Ernest B. Schoedsack

CAST: Robert Armstrong, Helen Mack, Frank Reicher, John Marston, Victor Wong, Ed Brady, Steve Clemente

Dopo aver capito che catturare King Kong è stato un grave errore (debiti, danni alla città, denunce varie) il responsabile si pente amaramente della sua scelta, ma viene a sapere che nell’isola dove venne trovato il gigantesco primate c’è un ricchissimo tesoro nascosto: quale scusa migliore quindi per poter tornare in quel luogo e dare il via a questo seguito?

L’uomo (che nel frattempo stringe amicizia con una bella ragazza suonatrice di chitarra) si ritrova quindi nel paradiso incontaminato della volta precedente e trova il figlio di Kong, un enorme cucciolo che al contrario del padre rivela un animo buono. Con l’aiuto della creatura, la coppia ormai consolidata trova il tesoro e, rimediata una barca, si avviano verso un futuro di amore. Amen.

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Prime sperimentazioni fantascientifiche miste a esotismo e a buoni sentimenti: l’animazione dello scimmione è ovvio che vista oggi faccia ridere, ma per l’epoca non era poca cosa. La creatura sembra un pupazzo Trudy, con gli occhi sgranati che suscitano tenerezza e quando attacca altri animali giganti per difendere i suoi amici umani è divertentissimo; tira calci e pugni che è una meraviglia e, come nel precedente capitolo, c’è pure la bionda con i boccoli che emana purezza e onestà d’animo, comunque IL FIGLIO DI KING KONG ottenne numerose critiche, in quanto lo scambio di sguardi fra lo scimmione e la donna venne inteso come “troppo malizioso”.

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Viene dai due King Kong (realizzati nello stesso anno, il 1933) la definizione del termine stop-motion: con una serie di fotografie messe in sequenza venne creato lo spostamento dell’animale: tale tecnica fu messa in atto da Willis O’ Brien, che realizzò così una gran quantità di scene “all’avanguardia”.

Una pellicola leggera e gradevole, che ha il merito di essere l’archetipo di effetti e trovate tutt’ora in uso.

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