PROFONDO ROSSO

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ITALIA, 1975

REGIA: Dario Argento

CAST: David Hemmings, Gabriele Lavia, Daria Nicolodi, Nicoletta Elmi, Glauco Mauri, Giuliana Calandra, Clara Calamai, Macha Méril

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Durante una seduta di parapsicologia in un teatro, la sensitiva Helga (Macha Méril, vista anche ne L’Ultimo Treno Della Notte di Aldo Lado), viene a conoscenza di un delitto avvenuto molti anni prima e rimasto impunito, commesso da una persona presente in sala in quel momento. La donna finisce massacrata a colpi di mannaia, ma un pianista che assiste casualmente all’omicidio (ma senza aver identificato il responsabile) comincia per conto suo a indagare, convinto di aver visto un particolare importante, utile secondo lui per l’identificazione dell’assassino.

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Gli omicidi continuano: tutti quelli che potrebbero fornire elementi essenziali per la risoluzione del caso vengono uccisi nei modi più brutali e, durante una pericolosissima indagine sul filo del rasoio, il pianista arriva nel luogo che ha dato il via a quella situazione da incubo: una villa abbandonata, all’interno della quale sono custoditi segreti che non devono essere divulgati. Dopo aver rischiato più volte la vita viene scoperta la verità e, a rimetterci la pelle, sarà anche chi cercava di coprire gli omicidi.

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Stiamo parlando di un un pezzo di storia del cinema del brivido: un incubo su celluloide costruito in un posto immaginario, realizzato mescolando riprese fatte a Roma, Torino e Perugia, scandito da una musica incalzante (realizzata dai Goblin) che è rimasta nella testa (e nelle classifiche del tempo) di tutti. Il cast è ricco e variegato: David Hemmings è il pianista curioso, ma ci sono anche Gabriele Lavia, Glauco Mauri, Daria Nicolodi, Nicoletta Elmi (la bambina inquietante presente in tanti film e futura ragazza della Terza C nel telefilm di Italia Uno), Giuliana Calandra e Clara Calamai (la prima attrice che in Italia ha mostrato il seno in pellicola, qui al suo ultimo film).

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I siparietti comici tra la Nicolodi e Hemmings, rivisti oggi risultano datati e appesantiscono notevolmente il film, che funziona invece nella creazione degli omicidi e nell’atmosfera ottenuta dal mix immagini/ musica. Anche se Profondo Rosso non presenta nessun elemento soprannaturale, ci sono particolari estetici e invenzioni che rimandano al cinema fantastico dell’Argento che vedremo nei film successivi: il pupazzo meccanico che terrorizza Mauri ha scioccato intere generazioni e funziona anche in un contesto che non dovrebbe contenere elementi arcani.

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Nel corso degli anni, in tanti hanno cercato di capire il motivo che ha portato più generazioni a considerare Profondo Rosso uno dei film più terrorizzanti di sempre; la chiave, a parere di chi scrive, va ricercata in certi meccanismi che Dario Argento riesce a scardinare lasciando spiazzato lo spettatore. Ci troviamo di fronte a un giallo in piena regola, con delitti e un assassino misterioso che deve essere scoperto solo alla fine e, proprio per questo, saltano all’occhio alcuni incastri narrativi che non rispondono a una coerenza di fondo. In altri termini, il film di Argento fa paura perché chi guarda crede di seguire un filo logico che dovrebbe escludere tutto ciò che è “magico” o “impossibile”, è infatti la storia a non prevedere nulla di ultraterreno, eppure alcune trovate inaspettate e inspiegabili a livello razionale vengono sbattute in faccia a chi guarda, spiazzandolo e terrorizzandolo; Argento si diverte a far crollare ogni certezza, gioca col suo pubblico, lo prende in giro e lo spaventa a morte.

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Chi ama il cinema sa bene che non ha senso guardare un film con schemi cartesiani, un’opera d’arte segue percorsi personali che non per forza devono essere spiegati, ma il regista romano conosce bene i meccanismi della paura, che diventa panico proprio quando le sue “pedine” (i personaggi del film, ma anche gli stessi spettatori) non hanno più nulla di ragionevole a cui appigliarsi. Se a questa sicura “incertezza” si aggiungono sangue e ultraviolenza, elementi imprescindibili per la cura dei delitti e delle atrocità che costellano il film, il risultato non può essere che quello che tutti conosciamo, cioè un capolavoro venerato in tutto il mondo e imitato da centinaia di registi nel cinema della paura degli anni a venire.

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