LA DONNA NEL MONDO

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ITALIA, 1963

REGIA: Gualtiero Jacopetti, Paolo Cavara, Franco Prosperi

VOCE NARRANTE: Stefano Sibaldi

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Dopo i buoni riscontri dei due Mondo Cane, la premiata ditta Jacopetti, Prosperi e Cavara confeziona un altro mondo-movie da dare in pasto a un pubblico che, non ancora abituato all’exploitation nuda e cruda (siamo agli inizi degli anni ’60 e ancora sangue e sesso al cinema erano dosati col contagocce), si rivelava interessato agli spettacoli scioccanti e curiosi. Produttori e registi avevano già capito che il lato voyeuristico della media borghesia andava in qualche modo soddisfatto e sfruttato per far cassa, così visto che le due precedenti pellicole avevano dato buoni risultati si cerca qua di replicare il successo, mettendo il sesso al posto del raccapriccio presente nei precedenti mondo.

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Cambia il tipo di escamotage quindi, ma non la sostanza, perché La Donna Nel Mondo strutturalmente è simile ai lavori precedenti; stavolta per accontentare gli spettatori paganti si punta tutto sui nudi femminili (mai troppo espliciti, la censura ancora non lo permetteva) lasciando da parte le scene disgustose. I tre registi ci offrono un altro viaggio in giro per il globo e realizzano uno spettacolo che, al solito, vale poco o nulla come documentario ma serve per stuzzicare la morbosità di chi guarda. In fondo, seni e cosce valgono sempre il prezzo del biglietto e col pretesto di raccontare le diverse condizioni della donna nel “mondo” non si perde l’occasione per mostrare corpi femminili nudi (mai integrali e con i capezzoli coperti o inquadrati di sfuggita) e immagini che hanno il solo scopo di far eccitare il pubblico. Visto oggi è tutto alquanto pudico, ma nel 1963 vedere una femmina nuda al cinema non era poco…

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Tra (parecchia) finzione e (poca) realtà la fotografia di Antonio Climati ci fa conoscere l’unica donna prete al mondo, le prefiche in Sardegna (donne pagate per piangere e disperarsi ai funerali), operazioni di chirurgia estetica (con ago e filo!) per far diventare a mandorla gli occhi delle pazienti occidentali, club per omosessuali (presi in giro dalla voce narrante di Stefano Sibaldi e bollati come ridicoli) e lesbiche, generazioni di danzatrici nell’isola di Tahiti che affidano i figli alla abitanti più anziane, nudisti in Costa Azzurra, donne in Nuova Guinea che usano il fango per assomigliare alle “bianche”, modelle nude in Giappone che per soldi si fanno scattare foto dai turisti e ragazze che fanno il bagno in mare vestite per non rovinarsi la pelle, donne appositamente deturpate in Borneo e altre “stranezze”.

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Musiche di poco spessore e commento sarcastico un po’ fuori luogo (non è mai divertente quello che viene raccontato) ne fanno un “documento” (anche se le virgolette sono d’obbligo di fatto il termine non è forzato) non molto riuscito e nemmeno troppo interessante, ma comunque rappresentativo di un percorso exploitation che stava prendendo campo.

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